Immagina di acquistare un apparecchio nuovo, aspettarti che duri almeno qualche anno… e invece, dopo poco più di 30 giorni, si guasta. È esattamente ciò che è capitato a una consumatrice che aveva scelto un congelatore “nuovo di zecca”. Invece di trovare supporto, però, si è trovata invischiata in una rete di scaricabarile tra venditore e produttore.
Il guasto e la prima richiesta
Il prodotto ha smesso di funzionare entro tempi brevissimi: un difetto che secondo il Codice del Consumo rientra pienamente nella garanzia legale di conformità. In presenza di un difetto che si manifesta entro 12 mesi, si presume che fosse già presente al momento della consegna. Quindi, è compito del venditore intervenire per riparare, sostituire o rimborsare il bene, senza costi aggiuntivi per il cliente.
Ma quando la consumatrice è tornata al punto vendita per segnalare il problema, le hanno chiesto di rivolgersi direttamente al produttore. Il produttore, dal canto suo, ha indicato che occorre rivolgersi al venditore. E così il cerchio si è chiuso: nessuno ha preso la responsabilità.
Quando anche chiudersi nei tecnicismi è scorretto
Anche più sorprendente è che il venditore abbia citato una direttiva europea recente — non ancora attiva nel nostro ordinamento — per sostenere che l’assistenza spetti direttamente al produttore. Una mossa che, oltre a essere tecnicamente infondata nel contesto nazionale, ha complicato ulteriormente la vicenda, caricando di oneri la consumatrice.
In concreto, questa obiezione ha creato confusione, rallentamenti e richieste non chiare, introducendo elementi estranei alla normativa vigente e all’obbligo primario del soggetto che ha percepito il pagamento (cioè il venditore).

L’intervento “terzo”, la soluzione
Quando la situazione si è arenata, la cliente ha deciso di avvalersi del nostro supporto: è stato aperto un reclamo formale nei confronti del negozio, con comunicazioni precise, e si è sollecitato un intervento rapido. Dopo alcuni scambi scritti e telefonici, il caso è stato sbloccato: il venditore ha accettato il ritorno del prodotto e ha emesso un buono spesa pari al valore dell’acquisto, che è stato accettato dalla cliente.
La risoluzione non è stata dovuta a un colpo di fortuna: ha richiesto insistenza, conoscenza dei diritti e la mediazione tra le parti.
Cosa insegna questo caso?
- Il riferimento principale per un difetto di conformità non è il produttore, ma chi ha venduto l’oggetto. In altre parole: se acquisti qualcosa, è il venditore che deve assumersi la responsabilità iniziale del difetto.
- Quando venditori o negozi si nascondono dietro regole non ancora operative o rapporti tecnici tra produttore e assistenza, rischiano di creare un labirinto burocratico che penalizza solo il consumatore.
- Un’assistenza professionale che conosca le normative e sappia come muoversi tra reclami, lettere formali e dialogo con le controparti può fare la differenza.
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